COSA SI MORMORA SUGLI PSICOLOGI

 TRA DICERIE E VERITÀ

 Quante volte mi è stato chiesto: ma esattamente uno psicologo cosa fa? Tu, per esempio, il paziente lo “metti” sul lettino o sulla poltrona? Ma se ascolti continuamente gente che sta male, non finisci per  star male anche tu? Io non capisco proprio quelli che pagano per essere ascoltati…

 Così mi è venuta l’idea di esplorare gli stereotipi più diffusi inerenti alla nostra professione. A tale scopo ho intervistato persone che nella vita si occupano di tutt’altro, scovate tra amici e conoscenti, cui ho posto queste domande:

  1. chi è per te uno psicologo
  2. che caratteristiche deve avere
  3. quando lo si interpella
  4. sono venali gli psicologi
  5. hanno una qualche affinità con maghi e cartomanti
  6. conosci la differenza tra psicologi e psichiatri

Le interviste, in cui uso il termine psicologo per semplicità, non sono rigidamente strutturate. Mi sono lasciata condurre dai miei interlocutori, cui ho specificato che il materiale raccolto costituisce oggetto di studio e verrà pubblicato. Ho usato nomi di fantasia, mentre reali sono età, professione e sesso. Ho tentato di allestire un campione minimamente consistente e il più possibile variegato, anche se non statisticamente significativo. Il materiale raccolto, di grande ricchezza umana, costituisce un buon punto di partenza che mi permette di fare un po’ di chiarezza intorno a una professione troppo spesso appesantita da dicerie e luoghi comuni.

Sono a scuola, è metà mattina, l’atrio è silenzioso. Mi siedo alla scrivania di Angela, bidella di scuola superiore di quasi sessant’anni…

Chi è per te uno psicologo?

Non lo so, perché non ne ho mai avuto bisogno, me la sono sempre cavata da sola. Con la calma e la buona volontà. Una volta mi è capitato di vedere una tizia che si aggirava per la scuola come un fantasma (la mima) e mi sono chiesta: ma chi diavolo è questa? Poi ho saputo che era la psicologa della scuola. Mi dava l’idea di una che avesse bisogno lei di essere curata.

Che caratteristiche deve avere?

Deve ispirare fiducia al primo impatto, mettere a proprio agio le persone, assecondandole, per fargli tirar fuori i problemi. Deve lasciar parlare e soprattutto deve “esserci”. Non può essere un fantasma.

Quando lo si interpella?

Quando non ti senti sicuro di quello che fai o pensi, quando sei indeciso perché hai problemi che non riesci a risolvere da solo, quando i genitori non ti bastano perché hanno già i loro problemi e non vuoi farli soffrire o non vuoi fargli sapere i fatti tuoi.

Qual è il suo compito?

Risolvere i problemi delle persone, insistendo, entrando nel loro cervello. Perché uno che chiede aiuto, non è pazzo del tutto, ma è lucido, è consapevole di quello che vuole.

Che differenza c’è tra psicologo e psichiatra?

Lo psichiatra cura i veri matti, lo psicologo invece si occupa di chi sta attraversando un momento di difficoltà.

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Sono seduta al tavolo della cucina, davanti a una tazza di caffè, con Olga, collaboratrice domestica di circa cinquant’anni

Chi è per lei uno psicologo?

Un dottore, cioè una persona laureata, ma anche un amico.

Che caratteristiche deve avere?

Un carattere dolcissimo. A me è capitata prima una dottoressa scorbutica e poi un dottore molto dolce. Ero depressa e il mio medico di famiglia ha tentato di curarmi con gli antidepressivi, che però mi facevano sentire cretina. Non seguivo più nessun discorso, mi isolavo. Allora mia sorella mi ha detto: così non puoi andare avanti. Mi ha riaccompagnata dal medico che mi ha consigliato di parlare con uno psicologo. La psicologa, quella scorbutica, mi sgridava, mi diceva cosa dovevo fare, che dovevo mandare fuori di casa mia figlia. Mi aizzava contro mia figlia. Lo psicologo, invece, mi diceva che i figli vanno saputi prendere. Era tranquillo e mi ha tanto aiutato. Se non è una persona dolce, io non mi sento a mio agio. Poi mi ha dato anche delle pastiglie che dovevo ridurre nel tempo. Le pastiglie però mi hanno resa schiava.

Conosce la differenza tra psicologo e psichiatra?

No. Forse lo psicologo è un dottore che se hai dei problemi ti guarisce. Lo psichiatra invece è un dottore che cura i malati di mente.

Quando si interpella uno psicologo?

Non va interpellato senza un motivo, ma quando non se ne può più e si sente la necessità di aiuto. Io ad esempio ci sono andata perché ero molto ansiosa, non riuscivo più a dormire. Nella mia vita ho avuto due episodi che mi hanno segnata. Il primo è che sono stata inseguita da un malintenzionato, da cui mi sono salvata per un pelo. Il secondo è che sono precipitata nel vuoto, perché ha ceduto un pavimento della casa in cui abitavo. Lo psicologo mi ha detto che dovevo raccontare tutte queste cose.

Ritiene che gli psicologi siano avidi di denaro?

Non lo so. Io ho usato il servizio pubblico.

Pensa che gli psicologi siano per certi versi simili a maghi e cartomanti?

No. Maghi e cartomanti sono tutti imbroglioni, mangiasoldi a tradimento. Loro cercano di convincerti. Mia madre ha portato mia sorella piccola da un mago per toglierle una fattura e ha speso una fortuna.

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Rosaria mi ha suggerito di andarla a trovare verso le quindici: è un orario tranquillo e possiamo parlare indisturbate. Di professione fa la custode e ha circa cinquant’anni

 

Chi è per lei uno psicologo?

Mio nipote, un ragazzo di 23 anni, avrebbe tanto bisogno di uno psicologo. Circa due anni fa ha avuto delle crisi. Si contorceva, ce l’aveva col vicino di casa. Diceva che era lui a farlo star male. Mio fratello ha addirittura cambiato casa per un po’. Ce l’ha anche con sua madre, perché dice che gli sta troppo addosso. Si rifiuta di parlare, di uscire. Passa tutto il tempo chiuso nella sua stanza. È in cura da… non so se è uno psicologo, che gli ha dato delle medicine, che però gli levano le forze. Io continuo a dire a sua madre che le medicine non bastano. Lui ha bisogno di parlare, di tirare fuori tutto quello che ha dentro. Quest’anno prendo il coraggio a due mani e ne parlerò a mia cognata. Lei però non vuole essere comandata e io non voglio fare quella che viene da Milano e sa tutto. Mio nipote per me è come un figlio. Mi fa troppo soffrire vederlo così. Alla sua età dovrebbe avere tante di quelle energie e invece… Il dottore che lo cura dice che adesso deve prendere le medicine per calmarsi. Poi potrà parlare con uno psicologo.

Insomma lo psicologo è uno che aiuta i ragazzi grandi che hanno bisogno. E ce ne sono tanti!

Quali caratteristiche deve avere?

Deve essere calmo per poter capire, andare in profondità. Non deve essere brusco ma paziente. È un mestiere difficile. Immagino la fatica che uno psicologo dovrebbe fare con mio nipote per farlo parlare.

Quando lo si interpella?

Quando uno non vuole più parlare, uscire, stare con le persone. Prima che la situazione sfugga di mano. Io mi ero accorta che mio nipote aveva dei problemi, un anno prima di quando l’hanno portato dal dottore.

Conosce la differenza tra psicologo e psichiatra?

No…Per me sono uguali. Lo psicologo fa parlare…

C’è una qualche similitudine tra psicologi, maghi e cartomanti?

Non esiste proprio andare da un mago. Non ci andrei né ora né mai. I maghi se la dovrebbero leggere loro la mano.

Ritiene che gli psicologi siano avidi di denaro?

Quello di mio nipote è molto caro: 150 euro solo per guardargli la lingua e farlo distendere con le braccia in avanti. Poi non soddisfa con le spiegazioni. Non sa consigliare i genitori su come si devono comportare.

Ma esistono anche le strutture pubbliche?

Macché. Al Sud non funzionano. È tutto a pagamento. Io me lo vorrei portare a Milano, ma lui non ci viene. Qui sono più all’avanguardia.

Non pensa che basterebbe un bravo professionista e non un professionista all’avanguardia?

Forse sì.

Se la sentirebbe di parlare a suo nipote? In fondo è un ragazzo grande?

Sì, forse a tu per tu troverei le parole giuste. Devo fare qualcosa, non voglio che passi tutta la vita così.

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Francesco mi ha aiutata a vender casa. Ha circa trent’anni e fa l’agente immobiliare. Mentre prendiamo un aperitivo per festeggiare…

Chi è per lei uno psicologo?

È un supporto fondamentale se uno ci crede.

Lei ci crede?

Io no, perché ritengo di non averne bisogno. Ma se ci credi, è come la struttura ossea che ti tiene in piedi. Parliamoci chiaro, ho visto tanti psichiatri nella mia vita, perché mio padre è un grave depresso. E la depressione è come un rubinetto da cui però non finisce mai di uscire acqua. Mio padre è stato un uomo molto in vista e quando si è trovato ingiustamente coinvolto in uno scandalo, dal quale è stato prosciolto perché il fatto non sussisteva, è andato in depressione. Lui aveva un atteggiamento altezzoso. Non aveva voglia di parlare con gli psichiatri. Voleva la cura farmacologica. E se si sottoponeva a dei colloqui era solo per ottenere i farmaci.

Quali caratteristiche deve avere uno psicologo?

Non necessita di un abito professionale, cioè di un’apparenza, di un’esteriorità. Ma di una sensibilità innata, che fa parte dell’uomo più che del professionista. Sensibilità che non si apprende sui libri di scuola e che è la porta che ti fa toccare le giuste corde di una persona.

Secondo lei, allora, possiamo essere tutti un po’ psicologi?

No. Affatto. Dico però che non è sufficiente imparare nozioni o scrivere di letteratura psicologica per arrivare all’altro. Devi avere delle doti da associare alla preparazione didattica. Serve un insieme di preparazione e sensibilità. Sensibilità intesa come umanità. L’altro non è una cavia su cui sperimentare teorie. Devi volergli bene, ma con il distacco del terapeuta.

Secondo lei gli psicologi sono avidi di denaro?

No, se tu chiedi un servizio lo paghi. Non vedo perché un ortopedico, ad esempio, può chiedere una parcella salata e uno psicologo no. Vero è che un chirurgo può essere molto più pericoloso per i danni che può fare: infatti lo paghi profumatamente. Che l’onorario sia caro o meno dipende dalla percezione del cliente. Se tu ritieni che andare dallo psicologo ti faccia bene, non c’è denaro che ripaghi il poter riacquisire serenità ed equilibrio personale. È una valutazione soggettiva.

C’è differenza secondo lei tra maghi, cartomanti e psicologi?

La stessa che passa tra un ottimo chirurgo e chi pensa di operarti con le dita, come ho visto fare ad alcuni guaritori brasiliani.

Quando si va da uno psicologo?

Quando ti nasce dentro il desiderio di essere supportato da qualcuno. Non ti ci devono trascinare. Io sono ateo e credo che, se si ricorresse allo psicologo anziché a Dio, la società sarebbe molto più sana.

Conosce la differenza tra psicologo e psichiatra?

No e credo che pochi la conoscano. O si mettono tutti in un unico calderone oppure si ritiene che lo psicologo sia uno psichiatra di serie B. Secondo me lo psichiatra ti vede come un organismo, cioè come un insieme di reazioni chimiche che devono funzionare. Infatti la sua prima cura sono i farmaci. Lo psicologo invece ti vede come una persona, con dei lati di inspiegabilità. Lo psichiatra vuole dimostrarti come un teorema matematico. Ha la sua casistica, fa le sue classificazioni e tende a incasellarci dentro tutti i pazienti. Insomma ti vede come un’equazione matematica. Ma una persona è fatta anche di zone d’ombra, che non possono essere spiegate. Come dire che per uno psichiatra sei un parallelepipedo, mentre per uno psicologo sei un prisma con molte sfaccettature.

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Con la tintura in testa per i canonici trenta minuti di posa, rivolgo alcune domande a Oscar, parrucchiere di sessant’anni circa

Chi è per lei uno psicologo?

Un medico che capisce i meandri della psiche. Ma siccome i meandri sono tanti e per giunta ramificati, arrivare ad una soluzione è difficile. Nei pazienti non ci sono degli standard. Le cognizioni di uno psicologo apprese studiando sui libri sono una traccia. Ma poi ogni paziente ha la sua mente e non è detto che lo psicologo trovi la soluzione.

Cosa intende per soluzione?

I pazienti mandano degli input per poter uscire dallo stato di malessere in cui si trovano. La bravura dello psicologo è capire gli input.

Mi può fare un esempio di input?

Anche le menti più contorte, come quelle dei criminali ad esempio, che commettono malvagità, poi vogliono dimenticare. Quelle menti, secondo me, non sono predisposte alla malvagità, e chiedono allo psicologo di aiutarle ad uscirne.

Quali caratteristiche dovrebbe avere uno psicologo secondo lei?

Beh, prima di tutto una profonda conoscenza della vita, per aiutare quei pazienti che prima erano persone normali e poi hanno avuto momenti di sbandamento.

Le vengono in mente altre caratteristiche?

L’aiuto dello psicologo dovrebbe avvenire senza l’uso di psicofarmaci, che secondo me sono da usare solo all’ultimo stadio. Lo psicologo deve aiutare il paziente a capire qual è il suo problema, per farlo ritornare nel suo stato migliore. Secondo me le terapie di gruppo sono un toccasana, perché il paziente capisce che non è il solo ad avere problemi, anche se profondi. E nel gruppo ci si aiuta reciprocamente, in una maniera che fa meno male di uno psicofarmaco. Però ci vuole la volontà della persona sofferente di entrare nel gruppo e mettersi a nudo, raccontando tutti i suoi problemi. Nel gruppo ci si ascolta a vicenda e la soluzione può venire non tanto dallo psicologo quanto dagli altri pazienti. Lo psicologo coordina, interviene.

Conosce qualcuno che ha fatto terapia di gruppo?

No, ma una sera passeggiando con il mio cane mi sono fermato in un cortile. C’era un locale a piano terra con radunate delle persone. Le finestre erano aperte e ho potuto ascoltare. Ho capito che si trattava di un gruppo di genitori di tossicodipendenti. Ogni persona ha la sua storia…

Lo psicologo in una terapia di gruppo recepisce molto di più, proprio grazie agli interventi del gruppo.

Sono venali secondo lei gli psicologi?

È come un luminare della medicina che si fa pagare. Lo psicologo, però, non dovrebbe essere caro. Semmai dovrebbe farsi aiutare dallo stato. È un dottore molto particolare. Prima di capire una situazione problematica, ha bisogno di tempo. Non è come il medico che ti fa fare gli esami clinici per diagnosticarti i calcoli alla cistifellea.

Tra psicologi, maghi e cartomanti ci sono affinità secondo lei?

Assolutamente no, anche se i grandi uomini del passato si sono affidati a dei cartomanti prima di grandi battaglie. Come Hitler, Napoleone.

Lei ci andrebbe dallo psicologo?

I miei problemi cerco di risolverli da me. Ma se avessi grossissimi problemi non esiterei a rivolgermi a uno psicologo. Il punto è trovare lo psicologo che possa capire, mettere a fuoco davvero i tuoi problemi. Perché se non ci riesce, sono soldi buttati.

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Di fianco al campo di calcio di una società sportiva del settore giovanile, parlo con Giorgio, allenatore di calcio di trent’anni circa

 

Chi è per te uno psicologo?

Inizialmente non avevo ben chiara questa figura. Ma poi, da quando la mia società sportiva collabora con uno psicologo, ho capito che è una persona con cui confidarsi, parlare liberamente, senza temere che abbia secondi fini. Se ti confidi con un amico, questo incamera come un registratore. Ti consiglia, ti conforta. Ma ti conosce già. Ha delle opinioni su di te. Lo psicologo non ha questa conoscenza della tua vita privata. Con lo psicologo non hai paura della critica. Non ti dice cose che possono condizionarti. E soprattutto non ti dice le cose che vuoi sentirti dire. Non trova soluzioni al posto tuo.

Che differenza c’è secondo te tra un amico e uno psicologo?

All’amico ti aggrappi se hai bisogno di un sostegno immediato. Per un percorso a più lunga gittata ti rivolgi allo psicologo. Sia io sia mia moglie ci siamo rivolti a uno psicologo per problemi interni alla coppia.

Secondo te uno psicologo che caratteristiche deve avere?

Deve essere presentabile, cioè di aspetto gradevole. Per me il primo impatto è quello visivo. Poi deve essere coinvolgente, deve aiutarti ad aprirti. Insomma ti deve ispirare fiducia.

Conosci la differenza tra psicologo e psichiatra?

Lo psichiatra cura la patologia con i farmaci. Mentre lo psicologo non si avvale di farmaci ma predilige il confronto e l’ascolto.

Pensi che gli psicologi siano venali?

Posso esprimere un’opinione generale su professionisti simili come medici e psicologi. All’inizio partono con spirito umanitario perché vogliono aiutare il prossimo e poi nel tempo possono diventare venali. D’altronde la nostra società propone come modello il guadagno immediato. Secondo me ci sono tre tipologie di professionisti: quelli votati alla cura del prossimo, quelli che pensano solo al tariffario e quelli un po’ e un po’. Chi pensa al tariffario non è necessariamente detto che sia disonesto. A me è capitato di concludere anticipatamente la terapia di coppia e lo psicologo mi ha detto va bene.

Ritieni ci siano delle affinità tra psicologi, maghi e cartomanti?

Maghi e cartomanti ti dicono quello che vuoi sentirti dire. Hanno una grande capacità di osservazione, conoscono il linguaggio del corpo, ti studiano e poi si comportano di conseguenza. Credo comunque che tra maghi e cartomanti ci siano persone dotate di capacità sensoriali fuori dal comune. Un’amica di mia moglie è così. Gli psicologi non danno soluzioni ma ti presentano più modi per leggere una certa situazione. E tu paziente devi saper cogliere quello giusto per te, perché uno psicologo può studiare quanto vuole, ma non potrà mai entrare nella testa di un paziente.

 

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Ho conosciuto Bianca, maestra di ballo sulla cinquantina e abbiamo preso a frequentarci. Si sa che una chiacchiera tira l’altra…

Chi è per te uno psicologo?

La persona con cui ti puoi sfogare e chiedere aiuto nei momenti di grande confusione, che dovrebbe indirizzarti verso la scelta più giusta o suggerirti il comportamento più giusto da tenere.

Cioè dovrebbe scegliere per te?

Si, senz’altro, perché tu in certi momenti non sei in grado di poter decidere nulla. Se ti aiuta nella scelta ti toglie dalla disperazione, dal baratro che potrebbe farti fare gesti inconsulti. In quei momenti la vita non conta più nulla. In fondo ti rivolgi allo psicologo solo nei momenti di bisogno. Piuttosto non so se una persona riesca a rivolgersi a uno psicologo spontaneamente o deve essere spinta da altri. Io stessa sto attraversando una grossa crisi coniugale e ho chiesto a mio marito di farci aiutare da qualcuno che dall’esterno vede le cose con più distacco, perché noi siamo troppo coinvolti per uscirne da soli. Mio marito mi ha risposto che lui non ha bisogno di nessuno e che non racconta i fatti suoi a nessuno.

Le tue vicende personali ti hanno fatto rivalutare la figura dello psicologo?

No, assolutamente. Solo che non avrei mai pensato di averne bisogno io. Lo avrei tranquillamente suggerito alle mie figlie, ad esempio.

Che caratteristiche deve avere per te uno psicologo?

Non saprei rispondere… ma intanto, come donna, preferirei avere una donna per parlare con più libertà. Poi mi piacerebbe parlare non in uno studio, che fa tanto “fuori di melone”, ma per esempio in giardino, in un’atmosfera informale. Uno psicologo deve saper ascoltare, ma soprattutto discutere, interloquire. Come due persone che conversano.

Un po’ come tra amici?

Si, perché come ho già detto ti rivolgi allo psicologo non perché sei malato, ma perché hai dei problemi da risolvere. Una volta esposto il mio problema, a me piace moltissimo ascoltare cosa l’altro ha da dirmi.

C’è differenza c’è secondo te tra un amico e uno psicologo?

Credo che tra una persona e uno psicologo si crei un rapporto intimo, di amicizia. Ma in quel preciso momento. Se c’è amicizia da prima, subentrano altri fattori, sei più coinvolto.

Conosci la differenza tra psicologo e psichiatra?

Lo psicologo ti aiuta a risolvere problemi non fisici. Lo psichiatra, invece, subentra per problemi fisici, come la schizofrenia. Ad esempio, la moglie del mio capo è sotto sedativi da una vita. E la vedi che non ha stimoli. Fa sempre la stessa vita, incanalata dentro dei binari. Certo non è più agitata, ma è completamente spenta. Tutto è cominciato in seguito ad una gravidanza andata male.

Ti spaventano i sedativi?

Tantissimo. Anch’io ne ho avuto bisogno in questo periodo, altrimenti non riuscivo proprio a dormire. Ma dopo un mese ho smesso di mia volontà. Non volevo che diventasse un’abitudine.

Cosa faresti se uno psichiatra ti prescrivesse dei farmaci?

Non avrei né la forza né il coraggio di dirgli che non ci credo e che mi fanno paura. Me li farei prescrivere, ma poi da quello psichiatra non andrei più.

E sulla pazzia degli psicologi?

C’è tutta una storia sul fatto che gli psicologi sono più matti delle persone che curano. Credo che si facciano coinvolgere dai drammi delle persone. È umano. D’altronde se non fossero umani, che psicologi sarebbero? Credo anche che crescano con i loro pazienti. Un bravo psicologo è quello che fa tesoro di ciò che i pazienti gli raccontano. Viene a contatto con modi diversi di pensare e reagire. Conoscendo tante storie, può aiutare meglio le persone. Credo che sia molto difficile rimanere indifferente, se ti fai carico dei problemi che ti vengono raccontati.

È da lì che nasce la sua pazzia?

Sì, credo proprio di sì.

Secondo te c’è qualche affinità tra maghi, cartomanti e psicologi?

No, assolutamente. Forse, l’unico filo che li può unire è che ti infondono speranza sul fatto che qualcosa nella tua vita possa cambiare. Ma ognuno di loro ti fa sperare in modo diverso.

E sulla venalità degli psicologi?

La mente umana è tanto complicata che lo psicologo, per venirne a capo, ha bisogno di tempo. Non è come togliere un dente. E se ci vuole tempo, ci vogliono tanti soldi. Piuttosto non tutti possono permetterselo.

Lo sai che esistono servizi pubblici come i Centri psicosociali o i Consultori familiari che praticano tariffe modiche?

Sì, ma sai bene quello che si dice dei dottori della mutua. E comunque dal medico della mutua sono disposta ad andare, dallo psicologo della mutua assolutamente no. A meno che non me ne venga consigliato uno bravo. Piuttosto faccio senza. Non è come farsi levare un dente. Allo psicologo metti in mano la tua anima, che è qualcosa di molto più delicato di un dente.

 

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Giovanni, primario di radioterapia sulla cinquantina, è un omone dai modi spicci. Sono andata a trovarlo in ospedale

Chi è per lei uno psicologo?

Dal rompicoglioni alla persona utile. Dipende dalla situazione.

Potrebbe spiegarsi meglio?

Parlo in base alla mia esperienza personale e professionale. Ho avuto a che fare con psicologi che si occupano di adozioni e li ho trovati incompetenti. Mentre ho trovato validi quelli che supportano pazienti oncologici.

Non pensa che questo accada in tutte le professioni?

Assolutamente sì. Solo che se il salumiere mi vende il prosciutto che non mi piace, posso cambiarlo, lo psicologo no. Quello delle adozioni per lo meno. Perché mi viene imposto.

Ha avuto a che fare con adozioni?

Si, abbiamo adottato due bambini dei Paesi dell’Est.

Vede, avendo alle spalle un retaggio di lavoro tecnologico, il mio rapporto iniziale con gli psicologi è stato di assoluta diffidenza. Dapprincipio consideravo il loro lavoro assolutamente inutile. Questo fino a che non ho avuto un’esperienza lavorativa diretta, che mi ha permesso di rivedere la mia posizione.

Come entrano gli psicologi nel suo lavoro?

Qui in radioterapia oncologica vediamo ottocento pazienti l’anno. Esiste un progetto per cui il reparto dovrebbe dotarsi stabilmente di uno psicologo che, a conti fatti, potrebbe dedicare solo un quarto d’ora a paziente ogni settimana. A mio avviso questo tipo di intervento risulterebbe poco incisivo sia dal punto di vista dell’aiuto effettivo che dell’ascolto. Secondo me, invece, lo psicologo dovrebbe aiutare i medici a migliorare la loro capacità di ascolto dei pazienti. Meglio concentrarsi sui medici che hanno una frequentazione più assidua con i pazienti, in termini di diagnosi, cura, visite di controllo ecc.. Poi sono i medici quelli che molto spesso devono comunicare al paziente che non gli rimane molto tempo da vivere. Tenga conto che la domanda quanto mi resta da campare è sempre sottintesa quando non esplicita. Ed è compito del medico rispondere, perché è lui che sa numericamente “quanto”. Lo psicologo si destreggia meglio sul “come” farlo. Ho imparato che non bisogna dire al paziente più di quanto non voglia sentirsi dire. Alcuni pazienti, ad esempio, si alzano e se ne vanno. Ora, non è necessario dire le rimangono tre mesi di vita, si può anche parlare genericamente di alcuni mesi. Ma i pazienti a volte hanno bisogno di saperlo anche per motivi pratici. Ricordo un paziente cui era morta la moglie sei mesi prima e al quale rimanevano pochi mesi di vita. Aveva delle questioni patrimoniali da sistemare. Voleva garantire un futuro ai figli, quanto meno una certa stabilità economica.

Questo glielo hanno insegnato all’Università?

No, ma non è solo frutto dell’esperienza, l’ho appreso anche con la formazione. All’università non ti insegnano certo a comunicare coi pazienti. Ad esempio ho appreso che ti devi presentare loro e che se hanno bisogno di parlarti, li devi ricevere nel tuo studio e non frettolosamente in corridoio.

Come si sente quando deve comunicare a un paziente che non gli rimane molto da vivere?

Sono passato da una fase in cui dare certe notizie era per me un grosso tormento, a una fase, quella attuale, in cui è sempre difficoltoso ma più limpido. È un sollievo, tra virgolette, poter pensare che un rapporto col paziente iniziato all’insegna della trasparenza, possa concludersi all’insegna della trasparenza. In rispetto del fatto che il paziente ti mette in mano il dono più prezioso che ha: la sua vita.

Non è facile convincere i medici, in particolare quelli più bravi, che la comunicazione faccia parte del loro lavoro, perché loro pensano di curare solo con la tecnologia.

Quando devi comunicare a un paziente che la terapia non serve più perché non funziona, un conto è dirgli “arrivederci e grazie”, “io non ti servo più”. Altra cosa è dirgli “io ci sono comunque, non scompaio, anche se non posso più curarti materialmente. Purtroppo la tua malattia non l’abbiamo scelta né tu né io”.

Secondo lei ci sono delle affinità tra la professione del medico e quella dello psicologo?

Sì, abbiamo in comune i pazienti e soprattutto il modo di rapportarci coi pazienti. I medici, i chirurghi in particolare, spesso soffrono di delirio di onnipotenza che li fa deviare da un rapporto corretto con le persone. I medici si ritengono bravi perché medici. E questo porta a dei disastri.

Che caratteristiche deve avere uno psicologo?

Non me lo sono mai chiesto. So invece, per esperienza, quelle che non dovrebbero avere. Vediamo… devono essere disponibili all’ascolto e non giudicare in partenza. Serve la disponibilità a esserci. È difficile fare lo psicologo per telefono. Ci sono di mezzo una persona e un rapporto.

Poi ho notato che la loro attenzione è più alta nei confronti di chi è ammalato e non di chi ha altro genere di problemi, magari esistenziali. Per me non dovrebbero esserci differenze. Per chi ha un problema, quel problema diventa il centro del suo mondo.

Esistono delle analogie, secondo lei, tra maghi, cartomanti e psicologi?

Se maghi e cartomanti ascoltano e basta, non c’è molta differenza. Anche il loro lavoro prevede un allenamento all’ascolto. Altra cosa è che pretendano di dare risposte guardando le carte o i fondi del caffè. Maghi e cartomanti danno risposte, mentre gli psicologi no, fanno nascere delle domande. Che questo poi sia un modo di cavarsela, quando non sanno cosa rispondere, come sostengono i maligni, è tutta un’altra storia

In che cosa consiste, secondo lei, il compito di uno psicologo?

Far nascere domande nella testa di chi ha un problema e farlo riflettere sul problema. Ad esempio, lo psicologo che parla con un paziente terminale non può raccontargli frottole, però può aiutarlo a rendere evidente e condividere la sua difficile realtà. Dire a una persona che sta morendo, non è facile. Scappano i medici e scappano i pazienti. Nella mia vita ho curato anche persone ricche e famose. Alcuni hanno fatto una morte terribile, altri no. È peggio morire isolandosi che morire incazzati perché non si ha voglia di morire, potendolo però dire a qualcuno. Serve a te, ma serve anche a chi ti sopravvive. Ricordo una mia cara amica medico, morta nel giro di tre mesi per un tumore inoperabile al pancreas. Suo marito, chirurgo, era disperato perché sapeva operare, ma non poteva operarla. E lei è morta in una maniera tremenda. Ripiegata su se stessa. Per non aver potuto gridare al mondo intero la sua disperazione di non poter vedere i figli crescere.

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Durante la manicure, Mariagrazia, estetista di venticinque anni, si svela…

 

Chi è per te uno psicologo?

Penso che sia una persona che sa ascoltare. Che sa dare consigli. Io in un certo momento della mia vita ne avrei avuto bisogno, ma non ci sono andata. Non sono mai andata da uno psicologo. Ma molte mie clienti sì. E mi dicono che non hanno avuto risposte, tanto che poi le domande le fanno a me. Secondo me, a volte lo psicologo si perde. Adesso te la faccio io una domanda: come mai lo psicologo non sa dare risposte e io sì? Non è che è lui ad avere dei problemi? Ad esempio nel mio lavoro entri in confidenza con le clienti. Capisci se hanno voglia di parlare oppure no. Proprio ieri è venuta una signora riservata e lunatica. Eppure con me ha parlato e ha anche pianto. Il senso è: vado dall’estetista per rilassarmi. Se poi trovo anche una persona che mi ascolta e mi sorride, meglio ancora. Il sorriso è il biglietto da visita di una persona. È tutto. Uno non deve essere per forza psicologo per saper ascoltare e dare consigli. Tu cliente sai che, se hai un problema, vieni da me e puoi sfogarti. Sempre che tu ne abbia voglia. Io ci sono. Oddio c’è l’inconveniente che questo è un posto pubblico, dove anche i muri hanno orecchie. Non c’è tanta intimità. Però è anche vero che se la cliente sente entrare gente nel negozio tace o abbassa la voce. Tutto questo viene più facile durante i massaggi. La psicologia dell’estetista consiste nel far rilassare la cliente. E se la cliente si sfoga parlando, è più probabile che si rilassi. A volte mi basta uno sguardo per intuire che ha voglia di parlare di una certa cosa e allora le faccio proprio la domanda che si aspetta da me. A volte invece sono io che ho bisogno di sfogarmi e se la cliente è rilassata ha modo di ascoltarmi meglio. Quindi è una cosa reciproca.

Ma allora che differenza c’è secondo te tra un’estetista e uno psicologo? Sempre che ci sia

Il punto di contatto è il linguaggio, la conversazione. La differenza è che lo psicologo lavora in un ambiente riservato, mentre io lavoro in un ambiente pubblico, dove non c’è segreto

Quali caratteristiche deve avere secondo te uno psicologo?

Rispetto per chi ha di fronte, umiltà, pazienza, semplicità. Tutte qualità che oggi sono in via di estinzione. Oggi c’è fretta, stress, vanità, egoismo.

Cosa dovrebbe fare uno psicologo secondo te?

Fare le valigie e andarsene. Che ci sia o non ci sia, non cambia nulla. Basta saper ascoltare. Ad esempio, io estetista metto a disposizione la mia competenza di estetista e in più ti ascolto. Mentre lo psicologo viene pagato un tot all’ora solo per ascoltarti e poi te ne vai. Io ti parlo, tu mi ascolti, io ti pago. È un dare per avere. Se io ho bisogno di parlare, preferisco un’amica che mi conosce bene, con cui ho esperienze in comune o mia madre. Non vado da uno che non conosco e che per giunta devo pagare

E quando mi sono presentata e ti ho detto ”faccio la psicologa”?

Io non ti ho giudicata, non ho pregiudizi. Vivo e lascio vivere. Non metto in dubbio la tua professionalità. Ti ho raccontato alcune cose mie, ti ho chiesto qualcosa del tuo lavoro, come in uno scambio di idee.

Credi che siano venali gli psicologi?

Ci sono tanti psicologi onesti che ci vanno di mezzo per colpa di qualche cialtrone egoista.

Credi ci siano delle analogie tra psicologi, maghi e cartomanti?

No, sono ambiti decisamente diversi. I maghi giocano con le sfere, i cartomanti giocano con le carte…

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Dopo un lauto pranzo prenatalizio, intervisto Saverio, dirigente in pensione di sessant’anni

 

Chi è per te uno psicologo?

Uno psicologo è un professionista che vuole occuparsi di un problema enormemente più grande di quello che lui pensa: capire come si comporta la mente umana. Io penso che l’unico metodo di indagine sia quello empirico, basato sulla ripetibilità di un fenomeno. In campo scientifico abbiamo raggiunto dei risultati solo da qualche centinaio di anni a questa parte, cioè da quando abbiamo abbandonato il metodo deduttivo o aristotelico. Usare il metodo deduttivo per indagare la mente, che è la cosa più complessa che esista, è velleitario. Lo psicologo vuole dare risposte avendo a disposizione pochissimi strumenti: prove banali di tipo statistico, con un’elevata varianza e con troppe eccezioni. Partire da una situazione con tante eccezioni, per elaborare delle teorie generali che possano spiegare il funzionamento della mente delle persone, per me è velleitario. Mi ricorda la metodologia che veniva applicata prima di Galileo e che si è rivelata fallace. Che ha portato a parlare di “flemma” in medicina o di “flogisto” in chimica, che non esistevano nella realtà. E che hanno avuto gravi conseguenze soprattutto in campo medico. Lo psicologo allo stato attuale delle conoscenze non dovrebbe definirsi “terapeuta”. Perché il terapeuta è la persona che capisce qual è il tuo problema e ti dà le soluzioni per risolverlo. Secondo me lo stato dell’arte in psicologia è quello dei tempi in cui si parlava del flemma e del flogisto. Questo non vuole dire che allora non si risolvessero i problemi, ma era assolutamente casuale. Magari si trovava la soluzione per un caso specifico, che però non valeva per i casi simili. A Bonifacio VIII, ad esempio, hanno fatto ingerire dell’oro fuso, che era considerato il metallo puro per eccellenza, con la proprietà di eliminare tutti i mali. Peccato che sia morto all’istante. Per adesso gli psicologi dovrebbero, con molta umiltà, limitarsi a osservare i fenomeni che vogliono studiare e solo in futuro elaborare delle teorie e verificarle puntualmente. Il processo è lungo, ma è l’unica strada per dare risposte certe. Penso a certe perizie di carattere legale che hanno avuto conseguenze disastrose, cioè ai casi in cui uno psicopatico è stato rimesso in libertà e ha ripreso ad ammazzare. Lo psicologo che ha effettuato la perizia era in assoluta buona fede, era convinto della bontà delle sue affermazioni. Anche se poi si sono rivelate fallaci. D’altronde anche le più grandi teorie scientifiche vengono sottoposte a falsificazione. Solo questo è garanzia di conoscenza. Io credo che questo modo di procedere dovrebbe essere applicato anche alle altre…

Scienze?

No, discipline, perché per me le scienze sono solo quelle fisiche. Io proprio non capisco come si possa essere junghiani piuttosto che freudiani o altro. L’ideologia nella scienza è la sua esatta contrapposizione. Si devono vagliare le teorie di questi studiosi, e scegliere solo quelle valide da seguire.

Che caratteristiche deve avere uno psicologo?

Saper ascoltare, senza essere visto. Mi spiego meglio. Nella storia i più grandi psicologi, secondo me, sono stati i confessori. La confessione è il più grande mezzo che la religione ha inventato per analizzare il comportamento umano. Ed è stato anche il primo esempio di sondaggio statistico. Nessuno tranne il clero sapeva come la pensava il popolino. Alla base della confessione c’è il saper ascoltare: “Dimmi figliolo, cos’hai fatto?”. La confessione aveva luogo attraverso una grata che impediva di conoscersi e il racconto avveniva in modo anonimo. Anche la grata è stata una grande invenzione. Gli psicologi sottovalutano la capacità millenaria della Chiesa, che ha inventato questo tipo di confessione sulla base di una valutazione statistica avvenuta nell’arco di secoli. Penso all’Innominato, che si converte dopo la confessione con il cardinale Borromeo. D’accordo, si tratta di letteratura, ma la dice lunga sul profondo potere di convincimento che ha la confessione. Che ha lo scopo di scandagliare l’animo umano, senza dare indicazioni.

Andare da uno psicologo sconosciuto potrebbe essere l’equivalente della grata?

No, perché dietro la grata poteva anche non esserci il confessore e quindi era come parlare a se stessi. Invece andare da uno psicologo sconosciuto implica comunque avere una persona davanti. Si tratta di un’interazione, mentre la seduta ideale, secondo me, è la modalità classica della confessione. In questo caso parli a te stesso. Certe cose le racconti solo perché non vedi chi c’è dall’altra parte. Se la confessione la facessi davanti al curato, saresti più inibito. E poi sono convinto che la presenza di un’altra persona modifichi il campo di osservazione. Ad esempio il modo in cui lo psicologo ti guarda, il fatto che ti ricordi qualcuno, il suo profumo, che magari è quello della tua ex fidanzata e così via.

Dunque l’aspetto umano nella relazione terapeutica, secondo te, non dovrebbe esistere?

No, perché il terapeuta per poter entrare nella mente di un altro e capirci qualcosa, dovrebbe variare continuamente a seconda di chi ha davanti. Cioè trasformarsi nel paziente, avere gli stessi gusti, lo stesso modo di sentire ecc.. Dovrebbe trasformarsi in una miriade di pazienti diversi e questo non è ragionevolmente possibile. A differenza del medico, che ha dalla sua innumerevoli casi sperimentali positivamente risolti, lo psicologo non può basarsi su una casistica così nutrita e quindi deve fare il camaleonte.

Credi ci sia differenza tra maghi, cartomanti e psicologi?

Certamente. Lo psicologo cerca di utilizzare un approccio scientifico, cioè è un ricercatore che tenta di partire da certe ipotesi per trovare una soluzione. Gli altri, invece, nel 99,9% dei casi sono dei truffatori. Usano le loro capacità per capire chi hanno davanti e circuirlo. Da questo punto di vista possono avere delle capacità superiori a quelle di molti psicologi.

Sono venali gli psicologi?

Non lo so, non ne ho la più pallida idea. Non so che tariffe applichino. Mi viene in mente che un po’ di tempo fa hanno arrestato, su denuncia, un mago che prescriveva farmaci. In realtà poi lo hanno dovuto rilasciare, perché si trattava di un medico chirurgo regolarmente iscritto all’ordine e quindi autorizzato a prescrivere farmaci. Questo signore si è reso conto che, prescrivendo farmaci come medico, guadagnava cinque o sei volte meno che come mago. E in più ha verificato di persona che i soggetti che si rivolgevano a lui, nella stragrande maggioranza dei casi, non avevano bisogno di farmaci ma di conforto, di rassicurazione.

Perché mi racconti questo aneddoto?

Perché talvolta un cartomante può fare di più di uno psicologo, solo perché ha il cappello a punta o gli incensi, che gli conferiscono secondo l’immaginario popolare dei poteri o delle capacità particolari.

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Durante un’ora si supplenza, Fabio, studente di liceo scientifico di diciotto anni, risponde ad alcune mie domande

Chi è per te uno psicologo?

Ė un professionista specializzato nella personalità

Che caratteristiche deve avere?

Deve saper mettere a proprio agio le persone, aiutandole a superare il timore iniziale e il senso di spaesamento per la situazione nuova in cui si trovano.

Ci sei mai andato?

No. Andrei dallo psicologo solo per curiosità. Ho anche pensato di iscrivermi a Psicologia perché mi affascina. Mi affascina capire il perché di certi comportamenti, ma non farei mai lo psicologo. Non sono abbastanza altruista.

Mi aiuti a capire?

Intendo dire che mi sentirei privato della mia libertà, perché dovrei continuamente cambiare me stesso per poter entrare in contatto con l’altro. Adattarmi continuamente all’altro per capirlo meglio e poterlo aiutare. Lo richiede la terapia. E a me non va.

Come te lo immagini un colloquio psicologico?

Immagino che avvenga in una stanza che non ricordi un salotto, perché l’idea di aprirmi in un luogo che assomiglia alla casa di qualcuno mi metterebbe troppo a disagio. Penso a un luogo un po’ più accogliente di un ufficio e un po’ meno di una casa. Dovrebbe esserci un divano per far sdraiare il paziente e una sedia, posta davanti al divano, dove si siede il terapeuta. Immagino un ambiente illuminato da una grande finestra, senza alcun tipo di profumo nell’aria. Immagino che uno entri nella stanza e inizi a parlare del suo problema. Prima però lo psicologo dovrebbe metterlo a suo agio, perché questa è la condizione per potersi aprire.

Chi stabilisce secondo te la durata della terapia?

Non si può definire il numero di sedute all’inizio.

Che caratteristiche deve avere uno psicologo?

Deve essere più o meno come un medico, cioè specializzato anche lui. Ma in più deve saper parlare di sé, senza forzature, per far emergere la sua parte umana. La sua funzione è aiutare il paziente a trovare buone risposte attraverso il ragionamento.

Pensi che la psicoterapia si basi sul ragionamento?

Penso che un paziente sia in grado di ragionare, perché se fosse pazzo sarebbe in manicomio e non potrebbe guarire. Se fosse molto disturbato, le emozioni prenderebbero il sopravvento. Se invece ragiona in modo strano, va semplicemente rieducato a ragionare. Ė prioritario. Credo che andare dallo psicologo non sia un problema di emozioni: lo psicologo non può lavorare direttamente sulle emozioni. Se ad esempio un paziente prova le emozioni sbagliate, cioè gioisce quando vede morire qualcuno, è aiutandolo a ragionare che si può trovare una soluzione al suo problema.

E le emozioni?

Non ne ho idea… io sono uno studente liceale e quindi sono abituato a ragionare. Magari se fossi uno che ha iniziato a lavorare presto, non darei così importanza al ragionamento. Penso che lo psicologo possa parlare di emozioni per aiutare il paziente a ragionarci su. Sono convinto che le emozioni non facciano parte della natura umana, cioè non sono innate, altrimenti proveremmo tutti le stesse cose. Sono molto legate all’educazione e all’esperienza. Se ad esempio si viene educati a non aver paura, non si ha paura. Oppure se ci insegnano a gioire quando si uccide un nemico, lo si fa perché ce l’hanno insegnato. Insomma per me la ragione ha più importanza.

C’è differenza secondo te tra maghi e psicologi?

Lo psicologo non deve guidare il paziente, altrimenti il paziente non si staccherebbe da lui e la terapia non avrebbe mai fine. Lo psicologo può dirti che non hai nulla, per aiutarti a ridimensionare il problema e a recuperare fiducia in te stesso. Diciamo che se ti inganna, lo fa solo a fin di bene. Il mago invece gioca sul suo potere di ingannarti, per creare in te false speranze o addirittura certezze.

Qualche considerazione clinica

Nella mia testa le interviste avevano lo scopo di indagare i pregiudizi della gente comune. In realtà ho scoperto che anche noi psicologi abbiamo dei pregiudizi su ciò che la gente pensa della nostra professione.

Certo l’idea che lo psicologo sia più matto dei suoi pazienti, che insistendo con garbo possa entrare nel loro cervello o che il suo mandato sia risolvere i loro problemi è molto diffusa. Come lo è la convinzione che dagli psicologi vadano persone fondamentalmente sane che hanno solo bisogno di sfogarsi, mentre dagli psichiatri, i matti veri.

Complessivamente però le risposte dei miei interlocutori appaiono tutt’altro che scontate. Per esempio Giorgio ha ben presente che tra un amico ed uno psicologo corre una bella differenza. L’amico ti conosce, sa della tua vita privata, si è fatto delle opinioni su di te. Mentre lo psicologo no. E se anche si è fatto delle idee su di te, cerca di metterle tra parentesi, sospendendo il giudizio.

Poi sembra che dallo psicologo non vada solo una ristretta élite culturale, ma chi ne ha bisogno e ci crede. Semmai chi non può permettersi di pagare l’onorario di uno psicologo privato, si rivolge al servizio pubblico, laddove esiste e funziona. A parte Bianca, che giammai metterebbe la sua anima nelle mani di uno psicologo “della mutua”, a meno che non gliene venga consigliato uno bravo.

C’è chi, come Francesco, sostiene che per una persona convinta dell’utilità di una terapia psicologica non c’è denaro che ripaghi la possibilità di riacquistare serenità ed equilibrio personale. Dunque, se si è disposti a spendere cifre elevate per un buon medico, non si capisce perché non si dovrebbe farlo per un bravo psicologo. Sempre di salute si tratta. Rispetto alla presunta venalità degli psicologi, i miei intervistati si sono nettamente divisi in due partiti: i sostenitori che il benessere psicologico non ha prezzo e gli scettici, che adombrano il rischio di un grosso esborso economico senza avere le agognate risposte. Mi sono resa conto, nel corso degli anni, che per molti è difficile comprendere cosa ti venda uno psicologo. La sua attività, infatti, non è facilmente definibile in termini di risultati. Se vai da un dentista, capisci subito se è un inetto o una persona competente. I parametri di valutazione sono più chiari: ha la mano delicata, il dente smette di farti male ecc.. Ma se vai da uno psicologo, paghi per non portarti a casa nulla di materiale, di immediatamente fruibile. Sarà solo il tempo a suggerirti se e quanto sei cambiato.

Se poi c’è una cosa che non finisce mai di stupirmi è la familiarità con l’universo psicologico da parte di persone non addette ai lavori. Mi domando quanto c’entri il bombardamento mediatico nelle sue varie manifestazioni. Dalla rubrica di psicologia delle riviste femminili, ai talk show televisivi, dove illustri criminologi spiegano sapientemente cosa passi nella testa del serial killer di turno. O quanto semplicemente giochi il fatto che nella cerchia di amici e conoscenti sempre più persone ricorrono a questo tipo di aiuto.

A volte i media non c’entrano, è il caso a metterti sulle tracce di uno psicologo, come è accaduto ad Oscar. Che una sera, portando a spasso il cane, è passato davanti alle finestre di un locale in cui era riunito un gruppo di genitori di tossicodipendenti, guidati da uno psicologo. Oscar si è molto incuriosito. Diciamo pure che ha origliato, approfittando della pipì del suo cane. Ed è rimasto favorevolmente impressionato.

Dalle varie testimonianze emerge un’immagine di psicologo quanto mai variegata. Che spazia da chi si aggira per la scuola come un fantasma a chi si renderebbe utile alla collettività se facesse le valigie e se ne andasse a casa. Da chi dovrebbe capire i meandri della mente, ma siccome sono tanti e ramificati è dura che ci capisca qualcosa, a chi deve scegliere al posto nostro nei momenti di disperazione. Da chi si immedesima a tal punto nei drammi personali dei pazienti da rischiare la follia per eccesso di umanità, al confidente, a una persona di aspetto gradevole, all’amico un po’ speciale, a uno che “deve esserci” e non se la può cavare curandoti telefonicamente o via Internet.

Infine c’è Giorgio che vede lo psicologo come colui che per ruolo istituzionale non dice quello che vuoi sentirti dire ma, aggiungo io, quello che gli arriva dallo stare in relazione con te.

Molto interessanti sono anche le risposte sulle caratteristiche che deve avere. C’è chi considera prioritaria una profonda conoscenza della vita, che deriva dall’averla vissuta ma soprattutto dall’aver molto ascoltato. Notevole è l’intuizione di Bianca, che pensa che gli psicologi crescano con i loro pazienti. Perché venendo a contatto con tante storie e dunque con tanti mondi, possono farne tesoro per aiutare meglio gli altri.

Invece a proposito dei compiti, Mariagrazia si indigna di fronte a uno psicologo che non sa dare risposte. Tanto che le sue clienti chiedono a lei, che di professione fa l’estetista. E da lei hanno risposte. Gratis. Oltre al massaggio, s’intende.

Rispetto alla differenza tra psicologo e psichiatra, c’è una voce fuori dal coro, quella di Francesco, che pensa che lo psichiatra ti veda come un teorema matematico da dimostrare. Cioè se possiedi le caratteristiche x y z, ti inserisce nella casella A. E anche se è molto discutibile che tu le possegga, ti ci inserisce lo stesso. A forza. Che è come pretendere di far entrare un piede del 41 in una scarpa del 38. Ma in fondo, dice Francesco, allo psichiatra interessa catalogarti come depresso, isterico o …, non tenendo conto del fatto che magari sarai anche depresso o isterico, ma il percorso di vita che ti ha portato a quella patologia è solo tuo e non generalizzabile. E soprattutto non si evince dalla categoria diagnostica a cui sei stato assegnato.

E poi Saverio, che considera gli psicologi degli scienziati in erba, che muovono a fatica i loro primi passi, incerti sia sul metodo da usare sia sulle conclusioni da trarre, tanto da commettere errori grossolani dalle conseguenze spesso irreparabili. Ė come se attraverso le parole di Saverio la psicologia ripercorresse tutte le tribolazioni legate alla sua nascita, ivi compresa la fatica per conquistarsi un posto a sé nel panorama scientifico. Saverio, a distanza di poco più di un secolo, sembra riproporre le stesse obiezioni e gli stessi pregiudizi degli scienziati di fine Ottocento. I quali, per permettere alla psicologia di assurgere al ruolo di scienza, si sono ispirati all’ideale di scientificità della fisica, pretendendo che la psicologia si occupasse solo di fenomeni osservabili, come il comportamento umano ad esempio, escludendo emozioni, inconscio, affettività, perché ritenuti un impedimento ad osservazioni oggettive. Mi colpisce inoltre che Saverio concepisca la psicoterapia non come un incontro tra persone con tutto il loro carico di umanità, inclusi profumi e odori, quanto piuttosto un modo asettico per elaborare delle teorie della mente. Ovviamente, da questa prospettiva, il profumo di una certa paziente rappresenta per lo psicologo-scienziato un elemento di disturbo. Quindi meglio la grata di un confessionale, che non ti consente di guardare in faccia il tuo interlocutore, che il vis a vis della stanza d’analisi.

Anche Fabio sembra condividere questa posizione, tanto da considerare le emozioni non il giusto completamento di mente e corpo, ma un evento calamitoso che ha luogo quando il ragionamento scricchiola. Secondo lui lo psicologo deve prima occuparsi dei ragionamenti difettosi dei pazienti, per poter aggiustare le loro emozioni.

Mi viene in mente Umberto Galimberti quando afferma che se a un bambino vengono impartiti insegnamenti di educazione fisica o culturale nessuno ha nulla da eccepire. Le perplessità nascono di fronte alla necessità di impartire anche un’educazione emotiva. Insegnare ai figli come riconoscere le proprie emozioni, che nome dar loro e come riconoscerle negli altri per averle provate è il compito più difficile di un genitore. In fondo l’empatia è esattamente questo: capire cosa ci fa star bene o male e di conseguenza cosa, di ciò che facciamo, può far star bene o male gli altri. Non serve entrare nella mente del nostro interlocutore o diventare il nostro interlocutore, per capirlo, come sostengono in buona fede Fabio e Saverio. Il punto è: come può un adulto occuparsi di alfabetizzazione emotiva se non ne ha fatta esperienza?

Sui maghi i miei intervistati sembrano avere le idee chiare. Ma voglio fare l’avvocato del diavolo, perché credo che il loro lavoro abbia in comune con il nostro molto più di quanto siamo disposti ad ammettere. Mi rendo conto che è una prospettiva inusuale e anche un po’ provocatoria, però preferisco partire dalle similitudini che ci accomunano, per rimarcare meglio le differenze.

Tanto per cominciare tutti quanti accogliamo persone sofferenti, seppure per questioni diverse. Ė vero che a noi psicologi si rivolgono anche persone gravemente depresse, con magari uno o più tentati suicidi alle spalle. Affette da gravi forme di dipendenza da alcool, droghe, gioco d’azzardo. Anoressiche e bulimiche. Con perversioni sessuali o abusate sessualmente.

Ma che si tratti di problemi esistenziali o sentimentali non ha importanza. Sempre di sofferenza si tratta. E la sofferenza non si misura con il metro della gravità oggettiva.

Sono professioni in cui si crea intimità con chi ci confida i segreti della propria vita. In cui, chi ci chiede aiuto instaura un rapporto di dipendenza da noi. In cui sono richiesti curiosità, ascolto, capacità di osservazione, capacità di mettersi nei panni dell’altro. Alcuni psicologi credono che il paziente sia un “oggetto” di cura. Dunque presumono di sapere quale sia il suo bene e come logica conseguenza si affannano a dargli suggerimenti, a decidere per lui, a preoccuparsi per le scelte più o meno avventate che fa nella vita. Questo modo di agire, supportato da una florida teorizzazione, non è molto dissimile da quello di maghi e cartomanti che consigliano ai loro clienti cosa fare, cosa dire, come comportarsi. Ovviamente sto alludendo solo a quei maghi e cartomanti, che operano in un ambito di legalità.

Un ulteriore elemento che ci accomuna, secondo una certa opinione, è l’uso della suggestione. Seppure con finalità diverse.

Consideriamo i maghi, ad esempio. Dai loro studi come dalle loro parole promana suggestione. Sono soliti accogliere i clienti in spazi densi di atmosfere esoteriche. Profumi di incenso e musiche iniziatiche fanno da contrappunto alle rivelazioni, spesso ovvie, sulla vita privata dei loro interlocutori. L’indubbia abilità di un mago consiste nell’intuire prontamente le cose che l’altro vuole sentirsi dire. Che sono poi quelle che lo fanno sentire accolto, compreso e soprattutto visto. I maghi aiutano a coltivare illusioni e a vivere nell’illusione. Usano malie che fanno leva sulla superstizione. Il loro approccio farà soffrire di meno, ma il prezzo che si paga è una grande dipendenza. Che aumenta nel tempo perché diventano gli oracoli da consultare per ogni decisione, dalla più banale alla più significativa. Demandare al mago le proprie scelte, o pensare che il futuro sia già tracciato e non debba essere progettato, deresponsabilizza, nell’attesa che gli eventi profetizzati si avverino. Il punto è che per molti è più facile pensare di essere vittime di un incantesimo o di un maleficio, piuttosto che ammettere di avere difficoltà nell’affrontare la vita.

C’è un dato interessante che balza all’occhio: i fatturati dei maghi tengono botta alla crisi. Quelli degli psicologi no. E noi cosa ci raccontiamo per consolarci? Che siamo in troppi e che la gente ha meno soldi e fa fatica a tirare fine mese. Tutto condivisibile. Ma allora perché, nonostante la crisi, dieci milioni di persone sono disposte a spendere cifre da capogiro, talvolta i risparmi di una vita, per consultare un mago? Tra l’altro, a dispetto di un pregiudizio molto diffuso, ai maghi si rivolgono persone di qualsiasi fascia d’età, censo e livello culturale. Magari le persone più istruite lo ammettono a fatica, dicono che non ci credono fino in fondo. Che mai avrebbero immaginato di dovervi ricorrere.

E poi c’è l’ipnosi, che è la forma di suggestione per eccellenza, praticata da molti psicologi. Ma credo ci sia una bella differenza tra l’uso del pendolino da parte di un mago e l’induzione dell’ipnosi da parte di un ipnotista. Nel primo caso il paziente accetta di sottoporsi ad una pratica misteriosa senza saper bene cosa gli stia succedendo. Nel secondo, la sceglie liberamente tra le molte offerte possibili, visto che si rivolge proprio a quel professionista e non ad altri.

Un altro contesto in cui la suggestione la fa da padrona riguarda le aspettative magiche legate al ruolo che gli psicologi rivestono. Mi riferisco al fatto che, se per alcuni siamo una categoria superflua, per altri rappresentiamo i massimi esperti dell’animo umano. Tanto per intenderci quelli cui basta un colpo d’occhio per capire di cosa patisce l’altro. Si tratta di una visione sicuramente idealizzata, ma è pur vero che è il ruolo che ricopriamo che ci legittima, un po’ come il cappello a punta dei maghi, di cui parla Saverio nell’intervista.

A differenza dei maghi, però, gli psicologi non promettono la guarigione ma si occupano, se interpellati, di cura. Di cui la guarigione è uno degli esiti possibili. E accade che un rapporto nato all’insegna della dipendenza diviene emancipativo, per consentire al paziente di riprendersi in mano la responsabilità della propria vita e delle proprie scelte. Secondo un modo di agire etico, che nulla ha a che vedere con la seduzione e la suggestione.

Bibliografia

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