Il verdetto

The Children Act

di Richard Eyre

Adam, ragazzo diciassettenne affetto da una grave forma di leucemia, rischia la vita se non riceve nell’immediato una trasfusione. Essendo testimone di Geova, però, d’accordo con i genitori la rifiuta, poiché uno dei cardini della loro religione è che l’anima risieda nel sangue. Che non può essere in alcun modo contaminato con quello di altri perché sarebbe una violazione sacrilega dell’essenza stessa della persona. Già qui si pone un primo problema di ordine etico: a chi spetta la decisione della cura? Al medico in quanto competente in scienza e coscienza? Al malato che rivendica la libertà di scelta in base alle proprie convinzioni religiose? O alla famiglia nel caso di un quasi maggiorenne? Poiché come spesso accade nella realtà le parti non si accordano, per dirimere la controversia viene chiamata in causa una stimata giudice dell’Alta Corte britannica. Che, dopo aver ascoltato medico curante e genitori con eguali rispetto e attenzione, non avrebbe altra scelta che appellarsi al Children Act. Il quale sancisce che il benessere del minore debba essere prevalente e prioritario. Nonostante la donna abbia già deciso in cuor suo, si riserva comunque di esprimere un parere definitivo solo dopo aver incontrato il ragazzo. Scelta insolita per una giudice risoluta, animata dalla ferrea convinzione che i sentimenti personali non debbano in alcun modo interferire con le decisioni professionali, che predilige muoversi all’interno di procedure consolidate. Imprevedibilmente l’incontro con Adam la colpisce a tal punto da incrinare le certezze di una vita. Che rappresentano la bussola con cui si è sempre orientata nelle delicate scelte cui è chiamata. Il ragazzo appare ai suoi occhi come un eroe romantico, animato da una sete febbrile di conoscenza. Che la sommerge letteralmente di quelle domande “ultime”, cui non è in grado di rispondere da solo. Che denotano intelligenza vivace, acutezza e soprattutto una gran voglia di vivere. Tra i due nasce una complicità che spiazza entrambi e che la giudice nega, reprimendola. Non si vedono per lungo tempo. Esattamente il tempo impiegato da Adam per curarsi. Cosa che alla fine accetta, incantato dal fascino che promana dalla giudice. La quale rappresenta un modello di adulto ben più interessante dei suoi genitori. Per cultura, sensibilità e bellezza. Tanto da indurlo a coltivare l’illusione che lei possa diventare il suo mentore. Così, dopo essersi ristabilito, si mette sulle sue tracce. Incontrarla diventa una vera e propria ossessione. Alle numerose e pressanti richieste di Adam la donna oppone un fermo e cortese rifiuto. Tanto più netto quanto più è turbata da un dubbio che diventa sempre più lacerante: ruolo e persona vanno mantenuti distinti inderogabilmente? Non solo. Dopo aver incoraggiato la vita, ci si può sottrarre al ruolo di adulti competenti laddove manchi una guida che aiuta a crescere?

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