La classe
Entre les mur
Insegnanti si nasce o si diventa? L’insegnante è un eroe romantico che trasmette passione per lo studio? È un intrattenitore che rianima platee annoiate di studenti? È vero che fare l’insegnante è una missione? Perché, se è così, ne discende che chiunque insegni debba possedere i requisiti del missionario. Tra cui la dedizione assoluta verso il prossimo. Noi pensiamo che, per essere disponibili verso gli altri, dobbiamo essere sufficientemente contenti della nostra vita e quindi avere il tempo di viverla. Che investire nella scuola abbia più a che fare con la qualità che con la quantità. E che l’insegnamento sia una “professione” da svolgere con competenza. Non solo didattica ma anche relazionale. Fermamente convinti che non si possa insegnare alcunché se prima non si è costruita una buona relazione con gli alunni. Perché è all’interno di una relazione che si impara. Protetti dallo sguardo benevolo e fiducioso di un adulto, che è pronto a scommettere su di noi. C’è un’altra questione. Al di là degli infiniti modi di essere insegnanti e alunni, che sono tanti quante le persone coinvolte, qualsiasi relazione docente – alunno è caratterizzata da un denominatore comune: l’asimmetria. Cioè a dire, il ruolo dell’insegnante e quello dell’alunno non sono intercambiabili. Il docente occupa una posizione di autorità, nel senso etimologico del termine, in quanto si mette a disposizione dell’altro per aiutarlo a crescere. Ci rendiamo conto di quanto sia impopolare di questi tempi parlare di autorità. Quindi vale la pena ricordare che autorità e autoritarismo non sono sinonimi. Infatti nulla vieta che si possa occupare una posizione di autorità in modo autorevole e non autoritario.
Il Ruolo Terapeutico ha pensato di dedicare al tema della Scuola un ciclo di quattro film, che aiutino a mettere a fuoco la relazione docente – alunno e la figura dell’insegnante.
Il primo, La classe, ci narra della complessità dei rapporti umani all’interno di una scuola media del ventesimo arrondissement, alla periferia di Parigi. Dove il tasso di immigrazione è elevato e le classi divengono dei microcosmi pullulanti di culture diverse, spesso in contrapposizione tra loro. In cui forte è lo spaesamento di chi, nato in Francia da genitori africani, antillani o cinesi, ha una conoscenza vaga della propria terra d’origine, però ne subisce la cultura, rigettando nel contempo quella del Paese ospitante, per mancanza di integrazione.
La vicenda racconta di François, giovane e brillante docente di francese, che crede fermamente nel proprio lavoro, accettandone le sfide quotidiane. Ci mette impegno e responsabilità. Il regista tuttavia lo dipinge come un anti-eroe. Ovvero come un essere umano che commette degli errori. Perché capita anche agli insegnanti. François non ha nulla a che vedere con il seduttivo John Keating dell’Attimo fuggente, che invita i suoi alunni a liberarsi dalle catene del conformismo per inseguire i propri ideali. A qualsiasi costo. François non è un eroe romantico e neanche un intrattenitore. Ha un carattere ruvido e non desidera far proseliti. Se mai ambisce al rispetto. Convinto che il carisma si conquisti sul campo anche a prezzo dell’impopolarità. Come accade a chi sa dire dei no. Ma soprattutto rifuggendo dalla fascinazione, che tanta presa ha sui giovani. Aiuta i suoi alunni a suon di verbi e pronomi. Correggendone gli errori. Li ascolta a modo suo. Nella concretezza del lavoro quotidiano. Perché ritiene che la cultura sia la loro unica chance di riscatto sociale.
E voi che ne pensate?
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